Ivano Fossati

Il re dei cantautori italiani. Senza ombra di dubbio.

 

Bandiera genovese sono io

 

Rock Stories: storie di umanità varia descritte al tempo di quella forma di musica “leggera” («Così leggera che ci fa sognare», secondo Una notte in Italia) che unisce strumenti elettrici e arte della lingua cantata. Questo sono le canzoni di Ivano Fossati, l’unico cantautore italiano (eccetto Paolo Conte) che si esprima con la medesima disinvoltura con parole e note.

Una posizione privilegiata, maturata in trent’anni di carriera e culminata, dopo le scappatelle giovanili di Jesahel (coi Delirium) e La mia banda suona il rock, e le sperimentazioni musicali lungo tutti gli anni ’70, con il trittico fondamentale costituito da La pianta del tè (1988), Discanto (1990) e Lindbergh - Lettere da sopra la pioggia (1992), ma soprattutto con i concerti degli anni ’90, immortalati nei dischi dal vivo Buontempo e Carte da decifrare (1993), con voce e pianoforte sempre più in evidenza.

Ciononostante non potrà sfuggire l’ironia con cui egli stesso sovente si prende in giro (e prende in giro i colleghi), come nella canzone prestata ad Adriano Celentano nel 2000: «Ci sono cantanti a cui non si può credere/ Ci sono poeti che non si può raggiungere/ Qui tutti parlano e parlano/ O peggio scrivono e scrivono/ È cultura universale/ O biblioteca comunale» (Io sono un uomo libero).

Le storie di Fossati non sono necessariamente autobiografiche, anche quando narrate al livello di un tu ed un io. Sono storie di donne e uomini alla ricerca della felicità nella propria esistenza. Storie d’amore, in primo luogo.

La voglia di amare ed essere amati infatti esprime l’infinito desiderio di compimento dell’uomo, che niente può compiere, e anzi, tanto più è sollecitato tanto meno trova qualcosa che lo soddisfi: «Ma intanto guardo questo amore/ Che si fa più vicino al cielo/ Come se dopo tanto amore/ Bastasse ancora il cielo» (La costruzione di un amore, drammatica descrizione della dinamica di questa caratteristica umana). Con un’immagine molto efficace prestata alla voce dell’amica interprete Fiorella Mannoia, l’amore è il mezzo principale con cui «continuo a bussare alla porta di Dio» (L’amore con l’amore si paga).

L’amare può essere contrastato da forze esterne: «Garbato amore mio/ Ti voglio anch’io ma me ne devo andar/ Che poca voglia di fare il soldato/ Io sono nato per stare qui» (Poca voglia di fare il soldato). Ma noi stessi siamo intimamente contraddittorii: cerchiamo il compimento nell’amore e poi ne gettiamo via, insoddisfatti, qualsiasi traccia siamo riusciti a rinvenirne. Fossati ce lo ricorda con schiettezza in Il canto dei mestieri: «Quello che faccio è cercare il tuo amore/ Fino nel cuore delle montagne/ Quello che ho fatto è scordare il tuo amore/ Sotto il peso delle montagne».

Che ogni esperienza amorosa sia ultimamente mai abbastanza è detto esemplarmente in Notturno delle tre: «La ragazza ci lascia qui/ Nella casa deserta/ Senza luce né candela/ E una persiana rimane aperta/ Tutta la gente non sa/ Dietro quale segreto, dietro quale divieto/ si perde una notte così/ Tutta la gente non sa/ Dietro quale dolore/ Se dolore c’è, quando son quasi le tre».

“La persiana rimane aperta”: le descrizioni di luoghi e persone, in Fossati, sono centrali. Completate dalla musica, si è detto, come quella di I treni a vapore, in cui sembra di viaggiare su un vagone a ritmo incalzante tra le stazioni, e soprattutto tra i cuori, dell’Italia: «E se l’amore che avevo/ Non sa più il mio nome/ Come i treni a vapore/ Come i treni a vapore/ Di stazione in stazione/ E di porta in porta/ E di pioggia in pioggia/ E di dolore in dolore/ Il dolore passerà».

Come si vede facilmente, quasi mai sono storie a lieto fine: c’è sempre qualcuno che se ne va. Non è possibile trovare la felicità nelle braccia di un altro essere umano. E quindi si è costretti a cambiare casa, luoghi e abitudini: «Cambio numero e quartiere fintanto che nessuno è come me» (E di nuovo cambio casa, registrata per la prima volta nel 1979 e interpretata tuttora dal nostro: la vicenda continua a ripetersi...). Per questo motivo amore e viaggio sono temi strettamente legati: «Buonanotte/ Buonanotte che vado/ Vado e non c’è appello/ E nemmeno l’ombrello trovo questa notte/ Così vado anche se piove/ Anche se dietro le nuvole è tutta luna nuova/ Vado senza di te» (Treno di ferro).

Ma il viaggio è ovviamente anche una metafora dell’intera esistenza umana. Anche qui Fossati prende a prestito immagini da vite intensamente spese, per accentuarne la loro ricerca di senso. Stavolta però si fanno nomi e cognomi. Si veda ad esempio la Confessione di Alonso Chisciano, scritta con Anna Lamberti Bocconi, in cui il “vero” Don Chisciotte si rivolge all’autore del proprio avventuroso girovagare: «Ma senti che odore di carta e incenso/ Da una parte ti dico grazie/ E dall’altra continuo/ Solo e senza corpo/ A scornarmi con il vento». Ancor più paradigmatico il caso del trasvolatore Charles Lindbergh, che nell’omonima canzone del 1992 diventa il simbolo di un’umanità (solitaria) in lotta con le avversità per interpretare i segni che la realtà offre e per trovare con le proprie forze il significato di sé: «Dal mio piccolo aereo di stelle io ne vedo/ Seguo i loro segnali e mostro le mie insegne/ E la voglio fare tutta questa strada/ Fino al punto esatto in cui si spegne».

Chisciano e Lindbergh sono figure eroiche. Nella mediocrità del nostro vivere quotidiano è più difficile viaggiare e seguire le indicazioni della realtà. Spesso infatti manca un’ipotesi positiva. Ancora più paralizzante: manca un tragitto da percorrere. «Lui si guarda intorno e non ha già/ Più terra dove andare/ E a diciott’anni un lavoro non lo cerca più/ A diciott’anni un lavoro che gli serve a fare/ Se si guarda intorno e non ha già/ Più terra dove andare», canta Fossati in Terra dove andare, su un sottofondo sarcasticamente brioso ed un ritmo saltellante.

Il viaggiare, come l’amare, è affascinante ma anche faticoso. Richiede lo sforzo di mettersi davanti a una misura che non è la propria. Entrambe le azioni sono in un certo modo tirate in ballo in L’uomo coi capelli da ragazzo, dove è narrato il rapporto tra un ricoverato ed un dottore di una casa di cura per cosiddetti malati di mente: «L’uomo avrà quarant’anni/ E i capelli da ragazzo/ In mezzo al cortile tiene/ L’anima per sé/ Il medico lo guarda/ Il medico tranquillo lo ascolta / Gli lascia servire in tavola/ Tutte le volte che c’è/ Così parlano del tempo/ Di questo vento che porta via/ E ancora del mare/ Di questo bel mare di Lombardia/ .../ Chi venisse a prenderlo/ Una domenica/ Vedrebbe che bel mare che c’è». Il medico si apre alla diversità che ha davanti senza assumere un atteggiamento pietistico o superficiale, ma prendendola sul serio. Riesce così a scoprire, immedesimandosi col paziente, qualcosa di nuovo, inatteso e perfino affascinante, come testimonia la musica: il “bel mare di Lombardia”. L’unica condizione è fare l’umile fatica di andare a incontrare quello strano uomo.

Il “mare di Lombardia” ci porta ad affrontare quella particolare situazione di viaggio in cui, unica, il genovese Fossati sembra poter trovare appagamento. Tra le sue storie, uno tra i pochi rapporti d’amore che trova una certa pace è quello che incontriamo in Naviganti, brano confluito nella colonna sonora del film Il toro (1994) di Carlo Mazzacurati: «Siamo stati contadini noi due/ Senza conoscere la terra/ E piccoli soldati/ Senza amare la guerra/ Ci hanno mandati lontano/ Senza spiegarci bene/ E siamo stati male/ Ma siamo ancora insieme/ .../ Ma ora è il momento/ Di mettersi a dormire/ Lasciando scivolare il libro/ Che ci ha aiutati a capire/ Che basta un filo di vento/ Per venirci a guidare/ Perché siamo naviganti/ Senza navigare mai».

Ma, in assoluto, il momento in cui Fossati pare raggiungere una piena coscienza del cammino che il suo viaggio umano deve effettuare è ancora una volta legato ad immagini “marine”, pur piene di drammaticità (la realtà è deserto, dopo la descrizione di T. S. Eliot). Nella cruciale Passalento (dall’album Discanto), in un tappeto musicale ottenuto a partire dal ticchettio di un orologio che tutti gli strumenti sembrano cercare di rallentare, l’avventura umana, pur sempre indomita come in Lindbergh (a “vele ancora tese”), domanda e trova realizzazione nell’abbraccio di colui che fa tutte le cose: «È che in questo deserto a tutti piace naufragare/ Vivi e fortunati di poterne respirare/ Così non rimane che lasciarsi dire cosa fare/ Così non rimane che lasciarsi ancora abbracciare/ .../ Signore di questo porto vedi/ Mi avvicino anch’io/ Vele ancora tese/ Bandiera genovese/ Sono io».

Ciò non toglie la cura di una ricerca che deve tenere desto lo sguardo, testimoniata dal punto di vista musicale dalla serie di progetti sperimentali dell’inizio del nuovo secolo, come lo strumentale Not One Word ed il recente spettacolo teatrale Concerto in versi, in cui il musicista e la sua band suonano mentre l’attrice Elisabetta Pozzi recita brani di letteratura.

Dal punto di vista testuale invece, è la canzone Discanto a dettare il programma in sintesi di una vita di at-tesa “alla Fossati”: «Si vive.../ Di una promessa /Di una faccia differente». Occhi aperti, dunque!