Tollerare i “tolleranti”?
Sulla tolleranza di Voltaire
«Insomma, la tolleranza non ha mai provocato guerre civili; l’intolleranza ha coperto la Terra di carneficine. Ora si giudichi tra queste due rivali, tra la madre che vuole che suo figlio sia sgozzato, e la madre che lo abbandona purché viva».
Involontario umorista, il “philosophe” illuminista per eccellenza, François-Marie Arouet detto Voltaire! Nel cap. IV del suo breve “Trattato sulla tolleranza” (1763) ci mette davanti a un’alternativa ben poco piacevole, confidando che la ragione umana preferisca una madre snaturata a una puericida.
Basterebbe questo crudo paragone a farci capire che la tolleranza descritta da Voltaire (che prende spunto dalla condanna a morte di un calvinista di Tolosa, di nome Jean Calas, accusato di aver ucciso il figlio che sembrava in procinto di convertirsi al cattolicesimo) non ha niente a che vedere coi sentimenti di carità e rispetto.
Non per niente il termine (già usato in filosofia da Bayle e Locke) implica il “resistere pazientemente a cose ritenute spiacevoli, dannose o sbagliate” e trae origine dal latino “tollere” (sollevare, ma anche allontanare).
D’altronde lo scopo di Voltaire è esclusivamente utilitaristico, come emerge qua e là nel libello: «Qui non parlo che per il bene delle nazioni: rispettoso, com’è dovere mio, della teologia, non considero in questo scritto che il bene fisico e morale della società» (cap. IV, corsivo mio); «La Germania sarebbe un deserto coperto dalle ossa di cattolici, evangelici, riformati, anabattisti trucidatisi a vicenda, se la pace di Vestfalia non avesse infine accordata la libertà di coscienza» (cap. V); «dipende [dall’uomo] di rispettare il costume della sua patria» (cap. XI).
Il buon filosofo non ha da impartirci lezioni metafisiche; vuole soltanto educare noi zotici e villani («Forse un quadro conciso e fedele [?!] di tante calamità potrà aprir gli occhi di alcune persone poco istruite e commuoverà i cuori ben fatti», cap. II; «Di solito gli uomini non ragionano che a metà», cap. X).
Per spingerci a tollerarci reciprocamente, dunque, Voltaire non esita a servirsi di espedienti per lui abituali. Vediamo alcuni esempi.
In primo luogo, il testo è disseminato di pregiudizi indimostrati e indimostrabili.
Il popolo di Tolosa «è superstizioso e violento» (cap. I), «in provincia il fanatismo quasi sempre vince la ragione» (ibid.), d’altra parte «più le sette sono numerose, meno sono pericolose» (cap. V), mentre il popolo egiziano è «sempre turbolento, sedizioso e codardo» e “ovviamente” gli ebrei furono ignoranti e barbari e nella loro storia «non si trova alcun atto di generosità, di magnanimità, di beneficenza» (cap. XII; eppure furono tolleranti, molto più dei cristiani, prosegue Voltaire).
Le perle sono costituite dalle accuse contro Socrate («andava di casa in casa a dimostrare a quei precettori che non eran altro che degli ignoranti: condotta indegna di colui che un oracolo aveva dichiarato il più saggio degli uomini», cap. VII) e contro la metafisica («Euclide è riuscito facilmente a persuadere tutti gli uomini sulle verità della geometria; e perché? perché non ce n’è una che non sia corollario evidente di questo piccolo assioma: due e due fanno quattro. Non proprio così vanno le cose nel miscuglio della metafisica e della teologia», cap. XXI).
Sono luoghi comuni molto significativi: il primo rivela la differenza di statura tra la ricerca e l’ideale socratici e quelli voltairiani (e anche tra i due pensatori!); il secondo non fa altro che perpetuare una banalità più dannosa che vera, sempre con lo scopo di mantenere la pace sociale, all’insegna della rinuncia alla propria identità. Una tra le banalità più in voga nel XXI secolo, si noti.
In seconda battuta, Voltaire utilizza spregiudicatamente numerose falsità.
Il cap. IV (“Se la tolleranza è pericolosa; e presso quali popoli è praticata”) ricostruisce un mondo in cui tutti i popoli sarebbero in pace e tolleranti: turchi, indiani, persiani, tartari, russi, cinesi… Nel caso di questi ultimi, le uniche “perturbazioni” sarebbero state causate dai gesuiti, «che se son stati perseguitati è perché son stati perseguitatori» (nota al cap. XVII).
Nell’antichità nessun popolo avrebbe limitato la libertà di pensiero (con la sgradevole eccezione del processo ateniese a Socrate), né le città greche hanno combattuto per opinioni (vedi cap. VII); per non parlare dei romani, che tollerarono tutti i culti (vedi cap. VIII).
E le persecuzioni contro i cristiani? Inizialmente non ci furono, come dimostra un episodio relativo a S. Paolo descritto negli “Atti degli Apostoli”; poi furono da addebitarsi ai nemici ebrei; infine, quelle degli imperatori sono dubbie (“si dice che…”), non di tipo religioso e comunque mai feroci. Diocleziano diventa insomma quasi un agnello, e fu lo «zelo sconsiderato», la violenta insurrezione contro il culto ufficiale (grave colpa politica, contro la “ragion di Stato”) a condannare a morte i cristiani dei primi secoli, che sono quindi la vera causa del proprio male (vedi capp. VIII-IX).
Si può dire sinteticamente (trascurando la ripetitività delle accuse ai cristiani) che è perfino ovvio che chi non riesce a capire che cos’è la religione e la vede solo come strumento politico non riesca neppure a trovarne tracce rilevanti nella storia e nell’animo umano.
Prendendo poi in considerazione tempi a noi più vicini, il cap. III (“Idea della Riforma del secolo XVI”) si incarica di riassumere la storia della Chiesa nel Rinascimento in modo da sottolineare le presunte molteplici colpe dei papi (gli odiati “principi stranieri”), dediti a pagarsi i propri piaceri con “strane imposte”, e l’importanza degli eretici per lo «sviluppo dello spirito umano, da tempo sepolto nella più cupa barbarie» (vengono citati i valdesi, ma nel capitolo successivo gli ambigui apprezzamenti del filosofo vanno agli ugonotti, mentre nel cap. XX è la volta dei giansenisti, che «contribuirono validamente a sradicare dallo spirito della nazione la maggior parte delle idee storte che disonoravano la religione cristiana»).
L’odio di Voltaire per la Chiesa (un odio soprattutto pratico-politico, come si è accennato) è espresso concisamente da tre celebri frasi: «La teologia ha causato il massacro di oltre cinquanta milioni di uomini» (cap. XVII; tutti per colpa della Chiesa, perché come si è visto i nemici che la attaccano non lo fanno mai per motivi religiosi…); «Noi ci siamo sterminati per dei paragrafi» (cap. VI); «Meno dogmi, meno dispute; meno dispute, meno sciagure» (cap. XXI).
Si noti infine che il famoso massacro della “notte di S. Bartolomeo” non è considerato di origine politica ma esclusivamente religiosa (vedi cap. X): ancora una volta, ci troviamo davanti a ragionamenti “a senso unico”.
Il terzo espediente usato dal filosofo illuminista (forse quello più interessante e subdolo) consiste nel “cambiare le carte in tavola”, nel servirsi di veri e propri sofismi.
Descrivendo la condanna a morte del calvinista di Tolosa, Voltaire enfatizza il comportamento scorretto di un giudice ostile all’imputato, sostenendo che «quel voto determinò la condanna alla ruota perché ci furono otto voti contro cinque» (cap. I). Fossero stati sette voti contro sei, non sarebbero bastati?
Trattando dei cattolici inglesi, nel cap. IV, viene detto che «non possono aspirare agli impieghi; pagano anzi doppie tasse; ma per il resto godono di tutti i diritti dei cittadini»!
Nel cap. IX, pur di prendersi gioco e lanciare accuse contro i cattolici, lo scrittore non esita a servirsi delle “superstizioni” di S. Gregorio Taumaturgo.
In una “innocua” nota al cap. XII poi, il nostro sembra accorgersi del pericolo dell’anacronismo, sempre in agguato per chi fa storia, ma se la cava dicendo che in ogni caso non dovremmo «imitare quella crudeltà [degli antichi] sotto la legge della grazia» (cambiando quindi discorso e sorvolando sulle proprie responsabilità!).
Dal punto di vista filosofico è notevole che, dopo aver letto frasi in linea con le idee di Lutero («non dipende dall’uomo, di credere o non credere» e «se [la religione] l’ha fatta Iddio, Iddio la sosterrà senza di voi», cap. XI), si passi poi senza pudore ad appoggiare tesi cattoliche: «Dio compenserà ognuno secondo le sue opere» (cap. XXII).
Dal punto di vista pratico è rilevante invece il cap. XVIII (“I soli casi nei quali l’intolleranza è di diritto umano”), nel quale si sostiene che «bisogna che gli uomini comincino a non essere fanatici per meritare la tolleranza». Con questa affermazione, non importa quanto poco fondata, si pretende di giustificare qualsiasi repressione compiuta contro il vero nemico di ogni buon illuminista/massone: la Compagnia di Gesù.
Tralasciando le innumerevoli tracce di retorica (qualche esempio: se non tentate di far violenza ai cuori, essi saranno per voi; bisogna persuadere ma non costringere; la fede si ispira ma non si comanda; tutti gli uomini sono fratelli…), possiamo concludere questa carrellata sulle astuzie voltairiane con una menzione per le “caricature” offerte dal trattato: il “Dialogo tra un moribondo e un uomo sano”; la “Lettera scritta al gesuita Le Tellier da un beneficiario”; la “Relazione d’una disputa di controversia in Cina”; le deformazioni dei dogmi offerte nel cap. XXI; il discorso (affine a quelli contenuti in “Micromégas”) sulla piccolezza del nostro globo, nel cap. XXII.
Ecco: uno splendido caricaturista, più che un filosofo o un educatore; un propagandista di crasse banalità, più che un raffinato intellettuale. Questo è Voltaire.
Di sicuro non un profeta…
Leggiamo frasi come «La ragione è giusta, è umana, ispira indulgenza, soffoca la discordia, consolida la virtù, fa amabile l’ubbidienza alle leggi anche più della forza che le mantiene» (cap. V) oppure come «Ogni giorno la ragione penetra in Francia nelle botteghe dei mercanti come nei palazzi dei signori. Bisogna quindi coltivare i frutti di questa ragione, tanto più che non è possibile far sì che non sboccino» (cap. XX).
Cosa avrà pensato chi le avrà lette solo trent’anni dopo, nel 1793, cioè nella fase più drammatica della rivoluzione francese?
Cosa ne avrà pensato il chimico Lavoisier, ghigliottinato nel maggio 1794, in piena era di dominio della Ragione robespierriana?